Pubblicato il
02 aprile 2025
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Ci dice che siamo di fronte a una vera emergenza di salute pubblica ma come per tutti i problemi sociali emergenti è importante porre il problema dal giusto punto di vista: stiamo parlando di un fenomeno ormai strutturale e non solo emergenziale, notevolmente aggravata alla crisi Pandemica.
Alcuni studi, ad esempio, mostrano come la Pandemia ha esacerbato i problemi di salute mentale tra gli studenti in Italia e nel Regno Unito, con un aumento di ansia, ansia sociale e stress legati all’isolamento e alle difficoltà dell’apprendimento online.
Gli studenti tedeschi, per citare un altro esempio, hanno riportato alti livelli di sintomi depressivi e pensieri suicidari durante la pandemia, con lo stress significativo e la solitudine tra i principali fattori contributivi.
Ma sono giò alcuni anni che la Lancet Commission on Global Mental Health ha sottolineato l’urgenza di un cambiamento sistemico, capace di integrare la salute mentale in tutte le politiche pubbliche, educative comprese (Patel et al., The Lancet, 2018 – link).
I dati più recenti dell’ISTAT ci dicono che, negli ultimi anni, il benessere psicologico dei giovani in Italia è in costante peggioramento. In particolare, tra i ragazzi e le ragazze tra i 16 e i 24 anni si osserva una crescente fragilità emotiva, con un calo marcato dell’indice di salute mentale soprattutto tra le studentesse.
Questo fenomeno, già acuito durante la pandemia, non ha mostrato segnali di recupero: nel 2023 l’indice ha continuato a scendere, segno che le difficoltà legate all’isolamento, alla pressione scolastica e all’incertezza per il futuro non si sono affievolite. È un campanello d’allarme che ci obbliga ad agire con strumenti nuovi, strutturati e sensibili alle differenze di genere.
Quello che manca è un sistema coordinato e stabile: non abbiamo un monitoraggio nazionale del benessere universitario, né linee guida operative diffuse, né protocolli condivisi per la prevenzione. E ancora oggi i servizi di supporto psicologico sono spesso frammentari, sottodimensionati o poco conosciuti dagli studenti.
È un progetto nazionale promosso da una rete di università e istituti AFAM, che nasce con un obiettivo preciso: migliorare in modo strutturato e sostenibile le condizioni di benessere psicofisico degli studenti e delle studentesse.
Non è un’iniziativa spot, ma un vero e proprio modello integrato che parte dall’ascolto delle fragilità per arrivare alla creazione di soluzioni concrete, inclusive, accessibili. Il nostro lavoro si articola in tre grandi aree: conoscenza, intervento, formazione.
Volentieri. La prima fase è quella che coordino personalmente: raccogliamo dati sullo stato di salute mentale della popolazione studentesca, usando strumenti rigorosi e comparabili a livello internazionale.
Poi, grazie a questi dati, lavoriamo con colleghi esperti in progettazione di interventi per strutturare servizi concreti: sportelli di ascolto, attività culturali, supporto per le dipendenze, percorsi di prevenzione. Infine, c’è la parte dedicata alla formazione: perché per promuovere benessere servono persone capaci di riconoscere il disagio e affrontarlo in modo tempestivo.
Il nostro gruppo parte da una premessa fondamentale: non si può intervenire su un fenomeno che non si conosce.
Abbiamo quindi costruito un’indagine osservazionale molto ampia, somministrata in decine di atenei, con domande che esplorano sintomi depressivi, ansiosi, ideazioni suicidarie, comportamenti a rischio (abuso di sostanze, dipendenze tecnologiche), ma anche fattori protettivi come la rete sociale, l’accesso ai servizi o il rapporto con l’ambiente accademico.
Il nostro strumento di riferimento è il WMH-ICS, sviluppato dall’OMS e dalla Harvard Medical School (OMS, WMH Survey Initiative – link).
Ci aspettiamo di fotografare con precisione un disagio che, pur con sfumature diverse, attraversa trasversalmente l’intera popolazione studentesca.
Vogliamo capire su quali dimensioni questo disagio si manifesta con più forza: isolamento sociale, precarietà economica, mancanza di riferimenti stabili sono alcune delle variabili che sembrano più strettamente connesse a stati di malessere psicologico.
Ma un dato altrettanto rilevante riguarda la distanza tra studenti e servizi di supporto: molti non li conoscono, altri non si sentono legittimati a usarli, per timore o per sfiducia. È un segnale chiaro.
Non basta che l’aiuto esista: deve essere percepito come accessibile, sicuro, integrato nella quotidianità universitaria. Solo così può diventare realmente efficace.
Il passaggio è cruciale. I dati diventano linee guida per progettare interventi mirati, coerenti con i bisogni reali. Il gruppo di lavoro dedicato agli interventi sta sperimentando un modello multifunzionale, che integra servizi di counseling, attività sportive, musicali e culturali, in collaborazione con il Servizio Sanitario Nazionale e le realtà territoriali.
Non è solo un’estensione dei servizi esistenti, ma una loro riconfigurazione su base integrata, multidisciplinare, con attenzione particolare alle vulnerabilità legate a dipendenze, isolamento e disturbi emergenti.
Perché la salute mentale non è solo una questione clinica: è anche una questione relazionale, educativa, culturale. Per questo il nostro terzo gruppo di lavoro sta costruendo percorsi formativi per tutta la comunità accademica.
Formiamo docenti, tutor, personale delle residenze e dei centri sportivi, affinché sappiano riconoscere segnali precoci di disagio. E poi lavoriamo con gli studenti stessi, promuovendo resilienza, gestione dello stress, educazione al benessere. Vogliamo creare un ambiente consapevole e solidale, dove il benessere non sia demandato a pochi, ma responsabilità di tutti.
Spero lasci un cambiamento duraturo. Non solo nei servizi, ma nel modo in cui pensiamo l’università. Health Mode On vuole contribuire a una cultura in cui il benessere sia parte della formazione, non un extra.
In cui nessuno si senta solo. In cui il diritto allo studio vada di pari passo con il diritto alla salute mentale. E in cui ogni università sia, davvero, un luogo che si prende cura delle persone.
Progetto selezionato nell'ambito dei due avvisi PRO-BEN 1 e PRO-BEN 2 del Ministero dell'Università e della Ricerca (MUR) per la concessione di finanziamenti volti alla promozione del benessere psicofisico e al contrasto del disagio psicologico ed emotivo tra gli studenti.